Nous reproduisons ci-dessous, avec l’autorisation de l’auteur, un compte-rendu d’ouvrage paru sur le numéro 36 (mai 2015) de Belvedere, le « Journal poétique et humoral en langue française italienne et sicilienne » publié depuis des années par le poète et écrivain Andrea Genovese.Andrea Genovese est un sicilien émigré à Lyon en 1984. Né en 1937 à Messine, où il fait ses études, il va travailler de 1960 à 1980 à Milan, où il est fonctionnaire ; il y développe une intense activité syndicale et politique, collabore à de nombreuses revues et publie plusieurs recueils de poésie en italien et en dialecte. Il continue à Lyon à publier des recueils de poésie en français et en italien, en même temps que des pièces de théâtre qui seront toutes jouées dans divers théâtres dont les Célestins. Il a commencé la publication de romans autobiographiques.Il publie régulièrement une revue numérique, Belvedere, entièrement écrite par lui, une des rares à avoir le courage intellectuel de porter un regard critique sur la vie culturelle et sur les événements contemporains. Vous pouvez demander à recevoir gratuitement Belvedere et ses « coups de gueule imprévisibles » en envoyant un mail à : a.genovese@wanadoo.fr. Vous ne le regretterez pas. Vous pouvez aussi le consulter sur internet.Le texte ci-dessous est le compte-rendu d’un ouvrage important sur la Sicile à l’époque de l’empereur Frédéric II, et plus largement du XIe au XIIIe siècle. Frédéric II est un des plus grands personnages de son époque ; il meurt en 1250, et la papauté fera tout son possible pour éliminer son souvenir. Dommage, nous en reparlerons.J.G.Salvatore TramontanaIl Regno di SiciliaUno stupendo saggio ristampato da EinaudiPuò sembrare strano che io, messinese, abbia sentito pronunciare per la prima volta il nome di Salvatore Tramontana nel prestigioso Centro di Studi Internazionali di Cérisy-la-Salle in Normandia durante un colloquio sui Normanni, tenutosi nel lontano settembre 1992, a cui partecipavo come semplice uditore senza per questo farmi scappare l’occasione – i colloqui di Cérisy essendo fondati sul sacro principio del dibattito pubblico dopo ogni singola comunicazione– di far sfoggio delle mie pupistiche e presuntuosette conoscenze, davanti ad alcuni universitari francesi come Henri Bresc, per citare qualcuno dei presenti (vedi comunque gli atti, Les Normands en Méditerranée aux XI-XII siècles, seconda edizione 2001, Presses Universitaires de Caen), sconcertando un poco specialisti e profani con affermazioni che tutto sommato potevo al massimo far risalire alla lettura di qualche pagina della Storia dei Musulmani di Sicilia di Michele Amari. Tramontana, ordinario di Storia Medievale all’Università di Messina, non era presente a quel colloquio, ma era citazione quasi obbligata, un’autorità insomma. Personalmente, ho avuto modo di conoscere lo studioso qualche anno dopo, nella comune città dello stretto, e l’aspetto piuttosto schivo e modesto dell’uomo mi aveva impressionato. Mi procurai subito due suoi brevi saggi L’effimero nella Sicilia normanna e Lettera a un tesoriere di Palermo, editi da Sellerio. E così compresi che la storia dei Normanni (e degli Svevi) in Sicilia non era opera dei pupi ma casomai teatro di marionette (storicamente agenti, comunque) nel senso più tragico e pirandelliano della parola, quando essa viene approfondita attraverso ricerche filologiche scrupolose sulle fonti. Fonti e testimonianze spesso lacunose o di difficile interpretazione ma al tempo stesso talmente numerose, in rapporto al mio modesto bagaglio liceale, da lasciarmi sbalordito. Ora, soltanto a sfogliare l’indice della recente ristampa di un luminoso saggio (Salvatore Tramontana, Il regno di Sicilia, Uomo e natura dall’XI al XIII secolo, Einaudi), ricco di un migliaio di nomi di politici, scrittori, scienziati, filosofi o semplici cronisti dell’epoca (e non solo, le referenze contemporanee testimoniando di una enciclopedica humanitas dell’autore), siciliani, arabi, ebrei, francesi o tedeschi, la vastità di questa ricostruzione storica dà le vertigini. E se poi si considera che centinaia sono le note alla fine dei singoli capitoli, ci si sente presi come in un vortice. Miracoloso è il fatto che tutto questo apparato filologico non appesantisca per nulla il libro e che il lettore comune possa tranquillamente farne a meno, tanto l’autore esplicita, riepiloga, illumina il pensiero altrui (e un’epoca intera) attraverso una scrittura esigente e colta, e tuttavia fluida e letterariamente seducente. Il fiume di Tramontana scorre placido nel suo letto, irrigato da limpidi ruscelli che tutti contribuiscono a fare luce su uno dei periodi piu complessi, tragici e violenti, ma culturalmente vividi e inquieti della storia del Mediterraneo, che è appunto, lo si voglia o no, storia del Regno di Sicilia, dall’avvento dei Normanni (e la loro assimilazione della civiltà arabo- musulmana che li ha preceduti sull’isola) fino alla sua più matura evoluzione sotto lo stupor mundi, il grande Federico II. È il sottotitolo di questo libro che ne chiarisce gli intenti e il taglio della ricerca, in cui il rapporto tra uomo e natura tra l’XI e il XIII secolo sottindende non solo l’organizzazione societaria nel suo insieme e nei suoi singoli aspetti pratici, sociali economici giuridici culturali, ma la concezione del mondo che si aveva. Anzi è proprio sotto il regno di Federico che l’interconnessione, per certi aspetti anche sacrale e teologica, dei fenomeni naturali diventa coscienza collettiva e materia di studio e di sperimentazione, grazie alla presenza di artisti, poeti, scienziati e filosofi di varia estrazione etnica e religiosa, attirati alla corte palermitana dal suo splendore e dall’interesse che alle scienze in senso lato manifestava il sovrano, autore tra l’altro del celebre De arte venandi cum avibus, fondatore dell’Università di Napoli e redattore delle celebri Constitutiones. La cui curiosità per i fenomeni e i misteri della natura non era un passatempo intellettuale, ma s’accompagnava dell’urgenza politica di migliorare e regolamentare le strutture amministrative e giudiziarie del regno e la vita quotidiana dei sudditi. Basta leggere i Quesiti che Federico poneva a Michele Scoto per avere un’idea della ricchezza del dibattito. La ricerca di Tramontana s’addentra in tante tematiche che appena si riesce a citare anche a caso : il ruolo degli animali da fatica o gli insetti portatori di malattie, le paludi e la malaria, i vegetali, l’uso e l’abuso di filtri e veleni, le pratiche sessuali e contraccettive, la medicina e la farmacopea, la ripartizione e la purificazione delle acque, potabili e di rifiuto, le materie prime, gli strumenti di lavoro, le abitazionii, le superstizioni, i modelli astronomici, la qualità di vita, spesso indigente dei più, quella agiata dei pochi privilegiati, e via seguitando. Tra le molte contraddizioni di una società condizionata da un Papato restio ad accettare il principio stesso di innnovazioni e scoperte tecnologiche (sino a Galileo e oltre, del resto), anche nel caso fossero utili alla salute e al benessere della gente, tra mille personali contraddizioni, persecuzioni e scomuniche, Federico II, anche per quel suo filoarabismo islamico, ereditato dagli antenati normanni, e per la sua reticenza a reinterpretare la farsa anacronistica delle crociate, è il vero ago della bilancia politica mediterranea (un Lorenzo dei Medici ante litteram). Certo, se il Papato non avesse scompigliato la politica dello svevo, la sua tolleranza religiosa ci avrebbe evitato secoli di conflitti e di colonialismo e oggi, chissà, anche gommoni e barconi e naufragi di disperati. Detto questo, mi rendo conto di aver appena sfiorato il percorso fluviale di questo saggio, tanto i molteplici rivoli s’intrecciano in una trama fittissima dove si aggirano antenati lontani che si ponevano i nostri stessi interrogativi sul destino umano e sulle regole del convivere civile. Veramente straordinaria è la maniera quasi distaccata, analitica, eppure vibrante, con la quale Tramontana ci sospinge dentro a una specie di pellicola cinematografica che ha come personaggi quel migliaio di nomi dell’indice, un casting di testimoni assillati da quotidiani affanni eppur assetati di sapere. Grazie allo studioso, l’oscuro Medioevo si accende, la Sicilia ritrova il suo contrastato e precario splendore storico, la stessa Messina di quegli anni emerge qua e là, gloriosa e fetida, con le sue strade ingombrate d’immondizia, i suoi fondi e le sue ciumare, qui rigagnoli d’escrementi, là ridenti vigneti e giardini odorosi.Andrea Genovese