Les chansons de Pier Paolo Pasolini - suite
C'è forse vita sulla terra ? Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
(Pasolini / Dacia Maraini
Musica : Manos Hatzidakis
Film : Sweet Movie, 1974)
C'è forse vita sulla terra ?
C'è forse vita nella guerra ?
C'è forse vita sulla terra ?
C'è forse vita nella guerra ?
È una gioia essere vivi, è bello essere furtivi.
È bello sopravvivere, è dolce saper vivere.
È bello essere matti, non tenere fede ai fatti,
fare tutto tutti nudi e mangiare sassi crudi.
C'è forse vita sulla terra ?
C'è forse vita nella guerra ?
C'è forse vita sulla terra ?
C'è forse vita nella guerra ?
Prendi la libertà, la morte non ti avrà.
Prendi quello che vuoi, respira affondo e poi
è bello fare l'amore, è bello schiantare il cuore.
È dolce essere contenti, finché non te ne penti.
C'è forse vita sulla terra ?
C'è forse vita nella guerra ?
C'è forse vita sulla terra ?
C'è forse vita nella guerra ?
È una gioia essere tristi, fare il male senza esser visti.
È bello essere pigri, mordere come tigri.
È bello essere cattivi e nel vizio molto attivi.
Bello morire per uno scopo, bello vincere a gatto e topo.
C'è forse vita sulla terra?
C'è forse vita nella guerra?
C'è forse vita sulla terra?
C'è forse vita nella guerra?
Enfin un dernier texte poétique est écrit par Pasolini pour être mis en musique, à la demande d’Ennio Morricone (1928- ) à qui avait été commandée une œuvre
originale pour un disque destiné à célébrer le centenaire de Rome capitale en 1970 :
Meditazione orale Méditation orale
(Pier Paolo Pasolini, 1970 .
Ennio Morricone
Interprete : Pasolini)
Che Roma fosse città coloniale
dove venire in vacanza
Ne dimorarono molti, poeti non socialmente determinati
liberi dalla burocrazia e con un po' di paura della polizia ;
né mancarono i bei soli, in questo secolo ;
ciò che scompariva dava un breve dolore,
l'unico vero dolore era nei sogni ; nei sogni in cui pareva
di essere costretti a lasciare questa città per sempre !
Non si piange su una città coloniale, eppure
molta storia passò sotto questi cornicioni
(col colore del sole calante)
e fu spietata ;
fu una scommessa tra i fascisti e i liberali ;
inaspettatamente questi ultimi, imbelli e anche un po' buffi,
(meridionali delicati di fegato)
l'ebbero vinta. I forti furono battuti ;
molta storia passò all'ombra dei Ministeri,
ma che lacrime fossero sparse in sogno per questa città
ciò sa di miracoloso, è quasi incomprensibile ;
lacrime violente, che parevano sparse sul cosmo ;
le lacrime degli addii alle partenze senza ritorno.
Poi ricominciava la vacanza
e una sete insaziabile di solitudine
Molta storia passò su questo asfalto
e lungo i muretti di pietra, insensibili al sole d'agosto,
molta storia. l vecchi parlamentari onestamente
con solennità sedentaria
ripresero il loro posto, or ridenti or severi
verso i loro elettori, condividendone la pace col mondo :
a ognuno il suo realismo !
Avevano vinto la scommessa nel Settentrione eroico
nel Meridione segreto
e un sorriso popolare o una serietà piccolo borghese
insomma la ritrovata dignità
riportò pellegrinaggi di poeti liberi da classe sociale,
senza obblighi né orari
sì che dopo il pianto, la cosa più incredibile
fu quel desiderio di solitudine,
che dava una felicità completa e tenuta tutta per sé.
Gli occhi che avevano pianto in sogno
ora guardavano
senza limiti di tempo o scadenze,
con pomeriggi o notti intere davanti,
in cui non accadeva che ciò che la storia dimenticava.
Oh, certo, non fu serio ;
fu una vacanza
Tutto doveva poi essere ragione di rimprovero ;
Roma fu sede di nuove battaglie.
Da dove erano discesi questi barbari ?
Beh, erano nati qua, a Via Merulana, a Piazza Euclide,
a Centocelle : e infatti bastava che impallidissero un po',
ed ecco le faccie dei loro padri, o sconfitti o vittoriosi,
ma tutti perduti nel passato in cui le lacrime non contano
e il desiderio di solitudine non è serio ;
la storia ricominciò a passare,
ma ai posteggi verso le quattro del pomeriggio c'era calma e sole,
dietro al Quadraro i prati erano deserti.
C’était le dernier texte composé par Pasolini pour être une chanson, les suivants seront des poésies déjà écrites et mises en musique plus tard. Ces dix
chansons sont écrites en vue de spectacles théâtraux, comme celui de Laura Betti, ou pour le cinéma, c’est significatif de l’intérêt multiple de Pasolini pour divers
modes d’expression : chanson, oui, mais liée à d’autres formes d’art, théâtre ou cinéma. Quant aux compositeurs ils ne sont jamais jusqu’alors des chanteurs,
mais toujours des musiciens qui travaillent hors de la sphère de la chanson commerciale de « consommation », mais ils sont musiciens de jazz, de musique
expérimentale ou de colonnes sonores de cinéma ; une seule exception, Domenico Modugno, dont Pasolini appréciait l’inspiration populaire et dialectale.
En 1964, Pasolini portait dans un article de Vie Nuove ce jugement sur la chanson : « Sur les chansonnettes, je pourrais donner deux types opposés de
réponse. Rien mieux que les chansonnettes n’a le pouvoir magique, abjectement poétique de réévoquer un « temps perdu ». Je défie quiconque de réévoquer
l’après-guerre mieux que ne peut le faire le boogie-woogie, ou l’été 1963 mieux que ne peut le faire Stessa spiaggia stesso mare (chanson de Mogol et Soffici
interprétée par Mina. NDR). Les « intermittences du cœur » les plus violentes, aveugles, irréfrénables sont celles que l’on éprouve en écoutant une
chansonnette. (…) La façon immédiate que j’ai de me mettre en rapport avec les chansonnettes est donc particulière et je ne peux en faire abstraction. Je ne
suis pas un bon juge. Je souffre en outre d’antipathies et de sympathies profondes pour les chanteurs et les mélodies (le maximum d’antipathie va à la
chansonnette crépusculaire dont je pourrais donner comme paradigme Signorinella pallida). J’ajoute enfin que j’aime assez le timbre orgiastique qu’ont les
musiques transmises par les juke-boxes. Tout cela est honteux, je le sais ; et donc en même temps, je dois dire que le monde des chansonnettes est aujourd’hui
un monde idiot (« sciocco ») et dégénéré. Il n’est pas populaire mais petit-bourgeois. Et comme tel profondément corrupteur. La Rai-TV est coupable de la
mauvaise éducation (« diseducazione ») de ses auditeurs pour cela aussi. Les fanatismes des chanteurs sont pires que les Jeux du cirque ».
D’autres textes de Pasolini vont donc être mis en musique. Le premier est un texte dialectal frioulan des années 1944-49, publié dans La meglio gioventù et
chanté par Grazia De Marchi et Giovanna Marini, Lied :
Lied
(Pier Paolo Pasolini
La meglio gioventù
II. Suite furlana 1944-49
La nuova gioventù, p. 45
Einaudi, 1973
Interprete : Grazia De Marchi)
Sotto i pioppi una vecchina
Sot i poj na veciuta
si muove nell’ultima luce,
si mòuf ta l’altun lun
lontana dal paese,
lontana da la vila,
a raccogliere sterpi.
a agrumà bachetùs
Che Domenica tranquilla !
se Domènia tranquila !
L’alba la vedrà,
L’alba a la jodarù
piegata con quella fascina,
pleta cub chè fassina
sul suo sperduto fuocherello :
tal so spierdut fugùt
ultimi giorni incantati
ultins dis inciantas
di un vivere sconosciuto.
Di un vivi scunussut
Il soldato di Napoleone est la reprise en italien par Pasolini d’un texte qu’il écrivit en dialecte frioulan dans La meglio gioventù en 1953 et reprit dans La Nuova
gioventù en 1973. C’était inclus dans un cycle de poésies consacré aux Colussi, les ancêtres de la mère de Pasolini. Les personnages de la chanson sont la
trisaïeule du poète, juive polonaise et son ancêtre frioulan, Vincenzo Colussi qui l’épousa au retour de la guerre de Napoléon en Russie et la conduisit à
Casarsa. Sergio Endrigo choisit ce texte dans son premier album de 1962 :
Il soldato di Napoleone
Le soldat de Napoléon
(Testo : Pier Paolo Pasolini,
La nuova gioventù, Einaudi, 1973, pp. 117-8
Musica et interprete : Sergio Endrigo
Sergio Endrigo 1962)
Addio, addio Casarsa vado via per il mondo
Lascio il padre e la madre vado via con Napoleone
Addio vecchio paese, addio giovani amici
Napoleone chiama la meglio gioventù.
Quando si alza il sole al primo chiaro del giorno
Vincenzo col suo cavallo di nascosto se ne è partito
Correva lungo il Tagliamento e quando suona mezzodì
Vincenzo si presenta a Napoleone.
Come furono passati sette mesi sono in mezzo al ghiaccio
A conquistare la Russia perduti e abbandonati
Come furono passati sette giorni sono in mezzo al gelo
Della grande Polonia feriti e prigionieri.
Spaventato il cavallo, fuggiva per la neve
E sopra aveva Vincenzo che ferito delirava
Gridava fermati cavallo, ferma, fermati ti prego
Che è ora che ti dia un mannello di fieno.
Il cavallo si ferma e con l’occhio quieto buono
Guarda il suo padrone che ormai muore di freddo
Vincenzo gli squarcia il ventre con la sua baionetta
E dentro vi ripara la vita che gli avanza.
Susanna con suo padre passa di lì sul carro
E vede il giovincello nei visceri del cavallo
Salviamolo padre mio questo povero soldato
che muore nella Polonia caduto e abbandonato.
Chi siete bel soldato venuto da lontano ?
Sono Colussi Vincenzo un giovane italiano
E voglio portarti via appena sarò guarito
Perché nel petto con gli occhi mi hai ferito.
No, no che non vengo via perché mi sposo questa Pasqua
No, no che non vengo via perché a Pasqua sarò già morta
La domenica degli ulivi piangevano tutti e due
E l’uno e l’altra a piangere si vedevano di lontano.
Il lunedì santo si vedono nell’orto
E si danno un bacio come due colombi
Il giovedì santo che nascono rose e fiori
Scappano dalla Polonia per saziare l’amore.
La domenica di Pasqua che tutto il mondo canta
Arrivano innamorati in terra di Francia
La domenica di Pasqua che tutto il mondo canta
Arrivano innamorati in terra di Francia.
La chanson fut censurée en 1966 par la RAI qui demanda de changer quelques vers considérés comme « dégoûtants », mais les auteurs avaient refusé.
Le Notturno de Danze della sera est un texte extrait de Il pianto della rosa, seconde section de L’usignolo della chiesa cattolica, de 1946 :
Danze della sera (Notturno)
Danse du soir (Nocturne)
(Pier Paolo Pasalini
L’usignolo della chiesa cattolica, 1946
Ettore De Carolis, Gruppo Chetro & Co)
Ah, se un giomo ancora ti potessi rivedere
schiaccerei la testa sopra i tuoi vestiti
ed allora io vivrei del tuo odore
Canta forte laggiù senza pietà
grida forte alle donne di ridere con te
rideranno pazze le donne insieme a te.
O vecchia madre tu non devi piangere più
non lavare tutto con il tuo dolore
se piangi ancora un altro figlio devi dare
vecchio padre, ciò che tu mi fai veder non mentire
non è un simbolo d'amore
è un uomo matto per gridare forte : « Amor »
Voi non mi conquistate
Con le gioie o i terrori
Dei freschi silenzi
Vostri, stelle invecchiate
E non mi trepidate
gelide, nel fiore
dove impera un Ardore
dolce, la mia esistenza.
Ma con voi è lontano
(non piango, non rido)
di questo cielo il Dio
che io non so nè amo.
Enfin La recessione provient aussi de La meglio gioventù, texte frioulan traduit en italien par Pasolini. Alice la chante dans le texte italien en 1992, mais nous
vous donnons ici le texte frioulan originel, dont Alice ne chante pas la dernière strophe, peu « politiquement correcte » : « Mais ça suffit avec ce film
néoréaliste / Nous avons abjuré ce qu’il représente. / En refaire l’expérience ne vaut la peine que / si on lutte pour un monde vraiment communiste ». Mieux vaut
« lisser » un peu ce Pasolini si « différent », communiste, homosexuel, on ne sait ce que la censure démocrate-chrétienne lui reprochera le plus !
La recessione
(Pier Paolo Pasolini (1974)
Seconda forma de « La meglio gioventù »
Musica : Mino De Martino
Interprete : Alice
Mezzogiorno sulle Alpi, 1992)
I jodarìn bargèssis cui tacòns ;
tramòns ros su borcs vuèis di motòurs
e plens di zòvins strassòns
tornàs da Turin o li Germàniis.
I vecius a saràn paròns dai so murès
coma di poltronis di senatòurs ;
i frus a savaràn che la minestra a è pucia,
e se ch'a val un toc di pan.
La sera a sarà nera coma la fin dal mond,
di not si sentiràn doma che i gris
o i tons ; e forsi, forsi, qualchi zòvin
- un dai pus zòvins bons tornàs al nit-
a tirarà fòur un mandulin. L'aria
a savarà di stras bagnàs. Dut
a sarà lontàn. Trenos e corieris
a passaràn di tant in tant coma ta un siun.
Li sitàs grandis coma monds,
a saràn plenis di zent ch'a va a piè
cui vistis gris, e drenti tai vuj
'na domanda, 'na domanda ch'a è,
magari, di un puc di bès, di un pissul plasèir,
ma invessi a è doma di amòur. I antics palàs
a saràn coma montagnis di piera
soj e sieràs, coma ch'a erin ièir.
Li pissulis fabrichis tal pi bièl
di un prat verd ta la curva
di un fIun, tal còur di un veciu
bosc di roris, a si sdrumaràn
un puc par sera, murèt par murèt
lamiera par lamiera. I bandis
(i zòvins tornàs a ciasa dal mond
cussi divièrs da coma ch'a èrin partìs)
a varàn li musis di 'na volta,
cui ciaviej curs e i vuj di so mari
plens dal neri da li nos di luna -
e a saràn armàs doma che di un curtìs.
Il sòcul dal ciavàl al tociarà
la ciera, lizèir coma 'na pavèa,
e al recuardarà se ch'al è stat,
in silensiu, il mond e che! ch' al sarà.
Ma basta con questo film neorealistico.
Abbiamo abiurato da ciò che esso rappresenta.
Rifarne esperienza val la pena solo
se si lotterà per un mondo davvero comunista.
Giovanna Marini a aussi mis en musique quatre textes de Pasolini dans son disque Partenze, Vent’anni dopo la morte di Pier Paolo Pasolini, de 1995, parmi
lesquels Lied. L’avant-dernière chanson du disque est le Lamento per la morte di Pasolini, dont elle écrit le texte et la musique pour son disque de 1978,
Correvano coi carri :
Lamento per la morte di Pasolini
(Giovanna Marini,
Correvano coi carri, 1978)
Persi le forze mie persi l'ingegno
la morte mi è venuta a visitare
"e leva le gambe tue da questo regno"
persi le forze mie persi l'ingegno.
Le undici le volte che l'ho visto
gli vidi in faccia la mia gioventù
O Cristo me l'hai fatto un bel disgusto
le undici le volte che l'ho visto.
Le undici e un quarto mi sento ferito
davanti agli occhi ho le mani spezzate
la lingua mi diceva "è andata è andata"
le undici e un quarto mi sento ferito.
Le undici e mezzo mi sento morire
la lingua mi cercava le parole
e tutto mi diceva che non giova
le undici e mezzo mi sento morire.
Mezzanotte m'ho da confessare
cerco perdono dalla madre mia
questo è un dovere che ho da fare
mezzanotte m'ho da confessare.
Ma quella notte volevo parlare
la pioggia il fango l'auto per scappare
solo a morire lì vicino al mare
ma quella notte volevo parlare
non può non può può più parlare
più parlare.
Et pour conclure, on se rend compte que ce qui respecte le mieux la culture paysanne ancienne ou la culture ouvrière ancienne, dont Pasolini regrettait que la
civilisation de consommation les ait massacrées, c’est la chanson dialectale, telle qu’elle est pratiquée par de nombreux groupes régionaux qui la continuent tout
en la modernisant : non pas par nostalgie mais par la volonté d’ouvrir une nouvelle civilisation plus humaine. C’est ce que toujours aurait dû, pour Pasolini,
soutenir le PCI, et c’est ce qu’il a cessé de faire dès les années ’60. Mais leur vitalité résiste, comme le prouvent ces groupes de toutes les régions, du Nord
comme Calicanto ou Abies, au Sud, comme les groupes des Pouilles, de Sicile, de Sardaigne, etc. Source d’espoir, grande difficulté ! Il faut se demander à
quoi sert la chanson populaire, dialectale, après Antonio Gramsci, Emilio Sereni, Sergio Boldini et beaucoup d’autres ?
Discographie
* Luna di giorno - Le canzoni di Pier Paolo Pasolini, par Micocci Dischitalia, edité par BMG et Ricordi, 1995 : 16 enregistrements par Pasolini, Laura Betti,
Anna Nogara, Domenico Modugno, Daniela Davoli, Sergio Endrigo, Chetro & Co, Avion Travel, Giovanna Marini, Fabrizio De Andrè.
* Tutto il mio folle amore, Grazia De Marchi canta Pasolini, 10 chansons de Pasolini, 1984, Blu Disc, avec un dessin de Milo Manara en couverture.
* Pier Paolo Pasolini, 5 enregistrements de textes de Pasolini par lui-même, BMG Ricordi, 1962, 1970, 1995 : Il canto popolare, Le ceneri di Gramsci, La
terra di lavoro, La Guinea, Meditazione orale.
* Les deux disques cités ci-dessus de Giovanna Marini.
Jean Guichard, 17 novembre 2016
DEBUT DU DOSSIER ACCUEIL
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
C’est une joie d’être vivants, c’est bon d’être furtif
C’est bon de survivre, c’est doux de savoir vivre.
C’est beau d’être fou, de n’avoir pas foi en les faits,
de faire tout tout nu et de manger très cru.
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
Prends ta liberté, la mort ne t’aura pas
Prends ce que tu veux, respire à fond et puis
C’est bon de faire l’amour, c’est bon de briser le coeur.
C’est doux d’être content, tant que tu ne t’en repends pas.
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
C’est une joie d’être triste, de faire le mal sans être vu.
C’est bon d’être paresseux, de mordre comme des tigres.
C’est bon d’être méchant et très actif dans le vin.
Bon de mourir pour un but, bon de gagner au chat et à la souris.
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
Y a-t-il donc de la vie sur la terre ?
Y a-t-il donc de la vie dans la guerre ?
Que Rome soit un ville coloniale
Où venir en vacances
Beaucoup le confirmèrent, poètes non déterminés socialement
Libres de la bureaucratie et avec quelque peur de la police ;
Et les beaux soleils ne manquèrent pas, en ce siècle ;
Ce qui disparaissait donnait une courte douleur,
La seule vraie douleur était dans les rêves ; dans les rêves où,
semblait-il, on était obligés de quitter cette ville pour toujours !
On ne pleure pas sur une ville coloniale, et pourtant
Beaucoup d’histoire est passée sous ces grandes corniches
(avec la couleur du soleil couchant)
Et elle fut impitoyable ;
Ce fut un pari entre les fascistes et les libéraux ;
De façon inattendue, ces derniers, lâches et même un peu
drôles, (méridionaux délicats du foie)
Eurent la victoire. Les forts furent battus ;
Beaucoup d’histoire est passée à l’ombre des Ministères, mais
que de larmes furent répandues en rêve pour cette ville
C’est ça qui est miraculeux, et presque incompréhensible,
Des larmes violentes qui semblaient répandues sur le cosmos ;
Les larmes des adieux aux départs sans retour.
Puis recommençaient les vacances
Et une soif insatiable de solitude
Beaucoup d’histoire est passée sur ce goudron
Et le long des petits murs de pierre, insensibles au soleil d’août,
Beaucoup d’histoire. Les vieux parlementaires honnêtement
Avec une solennité sédentaire
Reprirent leur poste, tantôt riants tantôt sévères
Envers leurs électeurs, dont ils partageaient la paix avec le monde :
à chacun son réalisme !
Ils avaient gagné leur pari dans le Midi héroïque
Dans le Midi secret
Et un sourire populaire ou un sérieux petit bourgeois
En somme la dignité retrouvée
Ramena des pèlerinages de poètes libres de classe sociale,
Sans obligations ni horaires
Si bien qu’après les pleurs, la chose la plus incroyable
Fut ce désir de solitude,
qui donnait un bonheur complet que l’on gardait tout pour soi.
Les yeux qui avaient pleuré en rêve
Regardaient maintenant
Sans limites de temps ou d’échéances,
Avec des après-midis ou des nuits entières devant eux,
Dans lesquelles il n’arrivait que ce que l’histoire oubliait.
Oh, certes, ce ne fut pas sérieux ;
Ce fut une vacance
Tout devait être ensuite une raison de reproche ;
Rome fut le siège de nouvelles batailles.
D’où étaient descendus ces barbares ?
Beh, ils étaient nés là, rue Merulana, Place d’Euclide,
A Centocelle : et en effet il suffisait qu’ils pâlissent un peu
Et voilà le visage de leurs pères, ou vaincus ou victorieux,
Mais tous perdus dans le passé où les larmes ne comptent pas
Et où le désir de solitude n’est pas sérieux ;
L’histoire recommença à passer,
Mais dans les parkings vers quatre heures de l’après-midi, il y avait le calme et le soleil,
Derrière Quadraro les prés étaient déserts.
Sous les peupliers, une petite vieille
Se déplace dans la dernière lumière,
Loin du village,
Pour ramasser des brindilles.
Quel dimanche tranquille !
L’aube la verra,
Pliée avec ce fagot
Sur son petit feu perdu :
Derniers jours enchantés
D’une vie inconnue.
Adieu, adieu Casarsa, je m’en vais par le monde
Je quitte mon père et ma mère je m’en vais avec Napoléon
Adieu vieux pays, adieu jeunes amis
Napoléon appelle le meilleur de la jeunesse.
Quand se lève le soleil à la première lueur du jour
Vincent avec son cheval est parti en cachette
Il courait le long du Tagliamento et quand sonne midi
Vincent se présente à Napoléon.
Quand furent passés sept mois, ils sont au milieu de la glace
A conquérir la Russie perdus et abandonnés
Quand furent passés sept jours ils sont au milieu du gel
Blessés et prisonniers de la Grande Pologne.
Son cheval épouvanté fuyait dans la neige
Et il avait sur lui Vincent qui blessé délirait
Il criait Arrête-toi cheval, arrête-toi je t’en prie
Car c’est l’heure que je te donne une botte de foin.
Le cheval s’arrête et de son oeil calme et bon
Regarde son maître qui désormais meurt de froid
Vincent lui ouvre le ventre avec sa baïonnette
Et y met à l’abri la vie qui lui reste.
Suzanne avec son père passe par là sur sa charrette
Et voit le jeune homme dans les tripes du cheval
Sauvons-le mon père ce pauvre soldat
Qui meurt tombé et abandonné dans la Pologne.
Qui êtes-vous beau soldat venu de loin ?
Je suis Colussi Vincent un jeune italien
Et je veux t’emmener dès que je serai guéri
Parce que dans ma poitrine tu m’as blessé avec tes yeux.
Non, non je ne viens pas, je me marie pour Pâques
Non, non je ne pars pas car pour Pâques je serai déjà morte
Le dimanche des oliviers ils pleuraient tous les deux
Et l’un l’autre en pleurant se voyaient de loin.
Le lundi saint ils se voient dans le potager
Et ils se donnent un baiser comme deux pigeons
Le jeudi saint où naissent les roses et les fleurs
Ils fuient la Pologne pour apaiser leur amour.
Le dimanche de Pâques où tout le monde chante
Ils arrivent amoureux en terre de France
Le dimanche de Pâques où tout le monde chante
Ils arrivent amoureux en terre de France.
Ah si un jour encore je pouvais te revoir
J’écraserais ma tête sur tes vêtements
Et alors je vivrais de ton odeur
Chante fort là-bas sans pitié
Crie fort aux femmes de rire avec toi
Folles avec toi les femmes riront.
Oh vieille mère tu ne dois plus pleurer
Ne lave pas tout avec ta douleur
Si tu pleures encore tu dois donner un autre fils
Vieux père, ce que tu me fais voir, ne mens pas,
N’est pas un symbole d’amour,
C’est d’un homme fou de crier : « Amour ».
Vous ne me conquérez pas
Avec les joies ou les terreurs
De vos frais silences
Etoiles vieillies.
Et vous ne me rendez pas anxieux
Glacées, dans la fleur
Où commande une Ardeur
Douce, mon existence.
Mais avec vous, il est loin
(je ne pleure pas, je ne ris pas)
le Dieu de ce ciel
que je ne connais pas et que je n’aime pas.
Nous verrons des pantalons avec des pièces ;
Des couchers de soleil rouges sur des bourgs vides de moteurs
Et pleins de jeunes fatigués
Venus de Turin ou d’Allemagne.
Les vieux seront les maîtres de leurs murets
Comme de fauteuils de sénateurs,
Les enfants sauront qu’il y a peu de soupe,
Combien vaut un morceau de pain.
Le soir sera noir comme la fin du monde,
La nuit on n’entendra que les grillons
Ou les coups de tonnerre ; et peut-être, peut-être que quelque jeune
– un des rares jeunes revenus au nid –
sortira une mandoline. L’air
sera celui de haillons mouillés. Tout
sera lointain. Des trains et des autocars
passeront de temps en temps comme dans un rêve.
Les villes grandes comme des mondes
Seront pleines de gens qui vont à pied
Avec des vêtements gris, et dans les yeux
Une question, une question qui est,
Qui sait, un peu d’argent, et une petite aide
Mais au contraire c’est une demande d’amour. Les anciens palais
Seront comme des montagnes de pierre
Seuls et fermés comme ils étaient autrefois.
Les petites usines sur le plus beau
D’un pré vert dans la courbe
D’un fleuve, dans le coeur d’un vieux
Bois de chênes, s’écrouleront
Un peu plus chaque soir, mur après mur
Tôle après tôle. Les bandits
(les jeunes revenus du monde chez eux
si différents de comme ils étaient partis)
auront les visages d’autrefois
avec des cheveux courts et les yeux de leur mère
pleins du noir des nuits de lune
et ils ne seront armés que d’un couteau.
Le sabot du cheval touchera
La terre, léger comme un papillon,
Et rappellera ce qu’a été
En silence, le monde et ce qu’il sera.
Mais ça suffit avec ce film néoréaliste.
Nous avons abjuré ce qu’il représente.
En refaire l’expérience ne vaut la peine
Que si on lutte pour un monde vraiment communiste.
J'ai perdu mes forces, perdu mon génie
la mort est venue me rendre visite
« Ôte donc tes jambes de ce royaume-ci »
J'ai perdu mes forces, perdu mon génie.
Onze heures toutes les fois que je l'ai vu
J'ai vu sur son visage ma jeunesse
O Christ tu m'as donné un beau dégoût
Onze heures toutes les fois que je l'ai vu.
Onze heures un quart et je me sens blessé
Devant mes yeux j’ai les deux mains brisées
Ma langue me disait "C'en est fait c'en est fait"
Onze heures un quart et je me sens blessé.
Onze heures et demie et je me sens mourir
Ma langue ne trouvait plus de mots
Et tout me signifiait que ça ne sert à rien
Onze heures et demie et je me sens mourir.
Minuit il faut que je me confesse
Je cherche le pardon de ma mère
C’est un devoir que je dois faire
Minuit il faut que je me confesse.
Mais cette nuit je voulais parler
La pluie, la boue, la voiture pour fuir
Seul en train de mourir près de la mer
Mais cette nuit je voulais parler
Il ne peut plus il ne peut plus il ne peut plus parler,
plus parler.
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