9.2.4. La chanson traditionnelle par auteur : Dario FO
On a un peu oublié que Dario Fo a toujours inséré des chansons dans ses comédies ; il chantait lui-même avec toute sa troupe. Nous en citons ici quelques-
unes, parmi beaucoup d’autres. Elles sont extraites du disque : FO CANTA, édité par les Edizioni musicali Edipan, Rome. Sa dernière œuvre théâtrale, Lu santo
jullare Francesco (Fabbri, 1999), contient encore des parties chantées.
Pour Dario Fo, la voix chantée devait être partie intégrante de l’action théâtrale. On a trop peu insisté sur ce point dans ce qu’on a dit de lui au moment de sa
mort. La chanson reste un art « mineur », peu digne d’un prix Nobel de littérature, on en a encore fait l’expérience quand on a su qu’un prix Nobel avait été
attribué pour la première fois à un chanteur, Bob Dylan en octobre 2016. Diable ! ont dit beaucoup de littérateurs, c’est indigne !
Et rares sont les grands écrivains qui se sont intéressés à la chanson, Calvino, Fortini (mais il l’avait « oublié » à la fin de sa vie), Pasolini, Umberto Eco, Dario
Fo … et peu d’autres !
Jean Guichard, 20 octobre 2016
Quelques chansons de Dario Fo, en souvenir de sa mort le 13 octobre 2016
Canto delle svergognate
Chant des dévergondées
(Testo = Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Settimo : ruba un po’ meno, 1964
Commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp. 99-100)
I quattro becchini salgono sul carro che, per l'occasione, si trasforma in teatrino da caffè concerto : ognuno si mette sulla faccia una maschera carnevalesca da donna, e,
sgambettando alla maniera delle ballerine da avanspettacolo, cantano:
Le prime donne che dai Crociati
in Palestina furono sbarcate
eravamo noi, noi svergognate
le prime vere femmine crociate.
Nel Nuovo Mondo fummo in quaranta
le prime donne della Spagna santa :
prima dei preti noi fummo sbarcate
ed ai cacicchi poi fummo vendute.
Noi siamo il faro di civiltà,
le vere dame di carità :
vendiamo amore che non ha prezzo
di sottobanco e a sottoprezzo.
Quando nel tempo, ormai passato,
in case chiuse si faceva peccato,
il nostro amore ci veniva tassato
e circa un terzo si prendea lo Stato :
con questi soldi, han calcolato,
si son pagati 'na corazzata,
'na corazzata e un incrociatore
che ancora oggi se ne va sul mare,
tutto pagato col nostro amore
trenta per cento del nostro amore.
Se pensi poi che i marinai
la quindicina con noi l'hanno spesa,
e che noi di nuovo l'abbiamo resa
per un bel terzo al nostro regio Stato,
risulta chiaro che abbiam coperto
tutte le spese dell'ammiragliato,
e il nostro Stato per la sua fregata
manco una lira avrà così sborsata.
Noi siamo un faro di civiltà,
le vere dame di carità :
la patria sempre ricordar ci dovrà.
E quando passa un incrociatore
pensa che è fatto col nostro amore !
Alla fine della canzone giungono dall'esterno, o meglio, dal fondo della platea, grida e spari, riprodotti con sistema stereofonico. Il frastuono è sommerso da un continuo ululare di
sirene. I becchini avanzano in proscenio dove si immagina esistano delle finestre.
Perché siamo psicopatici
Parce que nous sommes des psychopathes
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Settimo : ruba un po’ meno, 1964
Commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp.168-169)
Tutti si voltano, faccia al muro, per poi girarsi di scatto ad ogni capo verso della canzone. La prima strofa viene eseguita dal feretrofobo. I pazzi effettuano le risposte a base di: Ah! ah!
Quasi una volta al dì, ah! ah! ah! ah!
ci fan l'elettrochoc, ah! ah! ah! ah!
perché siam psicopatici, ah! ah! ah! ah!
fra l'altro siam neurotici, ah! ah! ah! ah!
e in quanto endocefalici, ah! ah! ah! ah!
siam fuor dalla società, ah! ah! ah! ah!
Ma alle ultime elezioni
le suore del convento
ci fecero votare,
votar con la crocetta,
tenendoci la mano,
cantandoci una storia,
e tutto per la gloria
di questa civiltà, ah! ah! ah! ah!
E grazie al noto metodo, ah! ah! ah! ah!
del condizionamento, ah! ah! ah! ah!
in uso nel convento, ah! ah! ah! ah!
or piu normali siam, ah! ah! ah! ah!
Siam sempre psicopatici,
tarati endocefalici,
ma del pensar corrente
le norme conosciam :
che saggio è chi desidera
le cose come stanno,
che è pazzo chi si lagna
del poco che non ha.
Ah! ah! ah! ah! ah! ah! ah! ah!
Se vuoi sfogare i nervi,
racconta barzellette
sul tal ministro piccolo,
su i preti e le donnette.
Di' pur che tutto costa,
che ci son troppe tasse,
però stai buono schiscio,
non pensar di scioperar,
perché se vuoi l'aumento, ah! ah! ah! ah!
tu fai mortai peccato, ah! ah! ah! ah!
fai piangere lo Stato, ah! ah! ah! ah!
Boicotti il concordato ah! ah! ah! ah!
Fai piangere il papato
fai piangere il papà, ah! ah! ah! ah!
Tu fai piangere il papà,
che ci fa lavorare,
che manda i soldi in Svizzera
e tasse non ne paga,
finanzia ditte all'estero,
ma per il nostro bene,
e quindi ci conviene
non starci a lamentar.
Siam neuropsicopatici, ah! ah! ah! ah!
noi siam tarati psichici, ah! ah! ah! ah!
perciò noi siam contenti, ah! ah! ah! ah!
di quel che non abbiamo, ah! ah! ah! ah!
perciò vogliam rimangano, ah! ah! ah! ah!
le cose come stan.
ah! ah! ah! ah! ah! ah! ah! ah! ah! ah! ah!
Il canto degli Italioti
Le chant des Italiotes
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Settimo : ruba un po’ meno, 1964
Commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp. 207-208
Il feretrofobo, il direttore, il commissario e il giudice, schierati sul proscenio, iniziano la canzone dell'italiota. Ad essi si uniscono, poi, gli altri personaggi rimasti in scena : l'eccellenza, il
professore e due pazzi.
Siam felici, siam contenti del cervello che teniamo,
abbiam l'elica che ci obbliga ad andar sempre col vento.
Se ci dicon : quello ruba, quello truffa, quello frega,
noi alziamo la spalluccia e da idioti sorridiam.
Perché siamo gli italioti, razza antica in.do-fenicia,
siam felici, siam contenti del cervello che teniamo.
Anche voi dovreste farlo : trapanatevi il cervello
e mettetevi anche un'elica, per andar sempre col vento.
Trapaniamoci festanti, riduciamoci il cervello
e cosi sarà piu bello, non avremo da pensar.
Se diranno : quello ruba, quello truffa, quello frega,
gli daremo i nostri voti, tutta quanta la fiducia
e sarem tutti Italioti
un po' ottusi di cervello.
Su, sbrigatevi, curatevi, anche voi, fate così,
anche voi fate così, anche voi fate così.
Escono saltellando dalla scena mentre lentamente cala il sipario.
Non fare tilt
Ne fais pas tilt
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Canta : Dario Fo
Gli arcangeli non giocano al flipper, 1959
Le commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp. 7-8)
A sipario aperto, sulla scena completamente nuda, delimitata sul fondo dal solo panorama, appaiono sette ragazzi vestiti in modo identico: pantaloni neri, bretelle strette, camicia
bianca. Avanzano con passo ritmato verso il proscenio e cantano.
La notte è un grand'ombrello tutto buchi,
qualcuno ci ha sparato dei limoni,
la luna pare il disco dello special
d'un grosso flipper fatto per King Kong,
e pure la mia città è un biliardino,
tu guarda : ogni ragazza sembra un flipper,
appena tocchi forte fa tilt,
ahi, stai fermo non tremar.
Non far tilt,
non far tilt.
Special verdi sono gli occhi tuoi,
luce rossa : stringimi se vuoi.
Non far tilt,
non far tilt.
È la regola di tutti i giochi,
è una regola che sanno in pochi.
Non far tilt,
on far tilt.
Noi siamo una gran ghenga di balordi,
freghiamo i cani e i gatti ai benestanti,
e quando il benestante è ben piangente
lo ricattiam con mancia competente.
Freghiamo valige e radio nei parcheggi,
ma pure le automobili sono flipper,
appena tocchi forte fanno tilt,
ahi, ti prego non lo far.
Non far tilt,
non far tilt.
Blocca sempre prima di flippare,
l'antifurto non lo far scattare.
Non far tilt,
non far tilt.
Col « bidone » non esagerare,
flippa piano se lo vuoi fregare.
Non far tilt,
non far tilt.
Durante la canzone, alle spalle del gruppo schierato in proscenio, una staccionata, a mo' di siparietto, scorre lungo tutto l'arcoscenico.
Fratelli d’ufficio
Frères de bureau
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Canta : Dario Fo
Gli arcangeli non giocano al flipper, 1959
Le commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp. 36-37)
Entrano cinque impiegati : calzoni neri, panciotto nero, con in capo una calotta da calvo sul tipo di quelle dei clown, adornata alla base da una vistosa capigliatura che corre in
semicerchio da tempia a tempia. A mo' di onorificenza hanno appeso al collo un timbro ciascuno. Sfilano davanti ad una tramezza tutta sportelli. Fianco dest : vengono
marchiando verso il proscenio e cantano.
Per dare gloria a Cheophe han fatto una piramide,
un'ara per Leonida, un arco per i Cesari,
un cippo monolitico per il Vercingetorige,
per ricordare un nautico han battezzato America
quel continente atlantico scoperto dal Cristoforo,
col nome di un gran medico han battezzato un microbo,
e, per finire, i clinici
pur di passare ai posteri,
a corto di piramidi, ci han battezzato gli organi, gli organi :
c'è l'osso di Berio, la tromba di Eustachio,
c'è il nervo di Bario, c'è l'elmo di Scipio,
c'è il cocchio di Dario, ciascuno ha il suo cippo ;
ma nessuno ricorda chi a tutto pensò.
Chi fu quel gran burocrate che ha inventato i moduli,
le cedole di transito, il bollo di verifica,
chi fu quel gran burocrate che inventò la scrittura,
le pratiche da evadere, la tassazione a carico,
la controfirma invalida, la pezza per lo scarico,
lo scarico bonifico, il buono per gratifica,
il protocollo unico, la carta di certifica ?
Di lui nessuna lapide ricorda il dì di nascita
e forse nell'anagrafe è scritto come anonimo, anonimo !
Fratelli d'ufficio, alziamo la testa,
Del genio dei bolli cantiamo le gesta
Alziam gli sportelli, laudiamo il signore
Che per nostro amore qui tutto creò :
i timbri rotondi, la carta bollata,
la marca da dieci, la carta intestata,
l'usciere di porta, il porta pennini,
e la penna, i cestini per i caposezion !
I cinque impiegati si son messi dietro gli sportelli. Tutti gli sportelli, che durante il canto erano stati sollevati, si abbassano, meno uno, il primo, che rimane aperto. Entra una donna che
subito si avvicina al primo sportello e inizia a sbrigare la propria pratica.
Stringimi forte i polsi
Serre-moi fort les poignets
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Gli arcangeli non giocano a flipper, 1959
Commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp. 20-21)
Interno della casa delle ragazze, addobbata con festoni di carta: il falso prete sta legando i polsi del Lungo, che è pure bendato, contro quelli della sposa tutta vestita di bianco e con un
velo in testa che le nasconde il volto. Tre ragazze e gli amici tengono, ciascuno, una candela istoriata in mano e cantano in coro.
Stringimi forte i polsi
contro le mani tue,
ed anche ad occhi chiusi
gli occhi tuoi vedrò.
Prego, raccogli il mio amore,
ti prego, per un sorriso lo cedo, lo cedo.
Stringimi forte i polsi
contro le mani tue,
ed anche ad occhi chiusi
col cuore vederti saprò.
Il giovane di Tunisi
Le jeune homme de Tunis
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Isabella, tre caravelle et un cacciaballe, 1963
Commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp. 10-11)
La leggenda dell’ostrica e della perla
Il giovane di Tunisi
Che nero come un’ostrica
Di lei s’innamorò,
aveva gli occhi d'onice,
il corpo d'una statua,
lo sguardo d'una vergine
per tanto ch'era timido :
perciò si innamorò
di lei s'innamorò.
Leonora più che candida,
l'Infanta di Castiglia,
la pelle di magnolia,
le orecchie di conchiglia,
di lui s'innamorò
di lui s'innamorò :
del giovane di Tunisi
che nero più di un'ostrica,
vedendola sbiancò.
Le braccia di quell'ostrica
intorno a lei si chiusero.
Con labbra che tremavano
Leonora più che candida
la bocca gli donò,
la bocca gli donò.
Ma dal torrion la videro
tre suoi fratelli pallidi.
Le frecce lampeggiarono :
il giovane di Tunisi
nel mar con lei piombò,
nel mar con lei piombò.
Piombò con lei stringendola,
lui nero come un'ostrica,
con lei si sprofondò,
lei madreperla pallida,
Il negro in fondo al mare
si chiuse come un'ostrica,
di morte nel pallore
lei perla diventò.
Gli spettatori applaudono.
Giuriamo d’aver visto
Nous jurons que nous avons vu
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
Isabella, tre caravelle e un cacciaballe, 1963
Le commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, p. 67)
COLOMBO (fa cenno al suonatore di mandola perché esegua un sottofondo piu delicato) Ebbene, se ci piace rischiar di morire in così dolce compagnia, coi fiori fra le orecchie, i piedi
nell'acqua fresca e il breve orizzonte di un seno tondo davanti agli occhi, giuriamo, giuriamo il falso ragazzi! Andremo all'inferno, ma moriremo in un paradiso! Entrano Giovanna e il Re.
CORO Giuriamo, giuriamo! (Cantano).
Le chœur : Jurons, jurons (ils chantent)
Giuriamo d'aver visto le piante di sesamo
che dànno i diamanti,·
le isole con donne giganti
che assalgono i giovani per fare all' amor.
Giuriamo d'aver visto di tutto :
chiedetelo e lo raccontiamo,
ma è inutile tentiate un ricatto,
c'è un'unica favola che non raccontiam :
d'un posto con donne così poco serie
da fare all'amor senza farti giurare,
che dopo le sposi oppure le paghi ;
che ridono nude davanti ai tuoi occhi,
ti dicono: grazie, vediamoci ancora,
e ridono, ridono.
No, questo tesoro che abbiamo trovato
per noi lo teniamo, non va raccontato.
Son belle le donne cosi poco serie,
non sbiancano in volto se non per amore,
non hanno un curato che dica : è peccato !
E ridono, ridono.
Di poi che Dio sapeva
Puisque Dieu savait
(Testo : Dario Fo su testi medioevali
Musica : Fiorenzo Carpi
Colpa è sempre del diavolo,1965
Commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, p. 213)
L'azione si svolge tra la fine del XIII secolo e la metà del XIV, in Lombardia. Prima ancora che si apra il sipario, si sentirà cantare in tono quasi liturgico. La canzone è tratta da rispetti
ereticali lombardi del XII e XIII secolo di cui troviamo tracce anche in Bonvesin della Riva.
Di poi che Dio sapeva, avanti lo creato,
che per un sol peccato l'uom si sarìa perduto,
con tutto che poteva, volendolo salvarlo,
creandolo più forte, più santo e provveduto ;
di poi che Dio sapeva che si sarìa tradito,
così d'esser punito : crear non lo doveva.
Crear non ci doveva per esser giudicati,
salvati o inabissati secondo li peccati
da Lui già preveduti, a noi già destinati.
Di poi che Dio conosce, avanti il farci nati,
se in terra sarem santi oppure scellerati,
perché far recitare a ognuno sta commedia,
dicendo: « va' a soggetto », che invece è già stampato ?
Che sia perché a star solo nel cielo s'è annoiato ?
S'è messo a far l'autore per non morir d'inedia ?
Perché far recitare a ognuno sta commedia ?
A sipario aperto, sulla scena quasi buia rappresentante il porticato del brolo (= le jardin), vediamo sfilare dei condannati vestiti col classico saio (= froc, vêtement) di juta degli
« insaccati », incatenati l'un l'altro, che cantano le strofe di cui sopra. Nel bel mezzo del loggiato, costretta in ceppi (= les fers), sta una ragazza. Alla fine della canzone escono gli
eretici ed entra il nerbatore con un condannato. Il condannato viene messo ai ceppi presso la ragazza, in una gogna (= le pilori) a due piazze.
Lascia pur che dica Iddio
Laisse donc dire à Dieu
(Testo : Dario Fo
Musica : Fiorenzo Carpi
La colpa è sempre del diavolo, 1965
Commedie di Dario Fo, Einaudi, 1966, pp. 246-247)
I comunitardi tornano sui loro passi, si dispongono in proscenio e cominciano a cantare. Alle loro spalle cala un siparietto sul quale, alla maniera di Lorenzetti, è raffigurata la Milano
trecentesca, vista a volo d'uccello.
« Guai a voi, ricchi pasciuti e satolli,
che per la cruna al par dei cammelli
non passerete, - disse il Signore,
mai entrerete nel regno mio ».
Ed ecco subito i nostri tutori
vendersi tutto, fin la camicia,
pur d'esser poveri e degni di Dio.
Non tengon soldi, li mettono in banca,
truccan da banche perfino i conventi,
comprano, investono, ma solo al ribasso,
sugli interessi non pagano il tasso.
Hanno inventato le opere pie,
hanno un migliaio di farmacie,
hanno ospedali e case di cura,
hanno l'appalto della sepoltura.
Non pagan tasse sopra i proventi,
han facce tristi, ma cantan contenti :
Lascia pur che dica Iddio :
« Non entrerete nel regno mio »,
chiudila pure, chiudi sta porta
del regno tuo, ma che ce ne importa !
Della politica sono i maestri,
infatti fingon d'esser maldestri,
se han per amico qualche tiranno
lo sanno tutti, ma lor non lo sanno.
Quel loro amico ammazza la gente,
ma loro zitti fan finta di niente :
perché colpirlo con l'anatema,
con la scomunica ? Non vale la pena,
ché l'importante è salvar la poltrona.
Cantiam giulivi, e guai a chi stona :
Lascia pur che dica Iddio:
«Non entrerete nel regno mio »,
chiudila pure, chiudi sta porta
del regno tuo, ma che ce ne importa !
Sul finire della canzone escono di scena camminando in processione. Buio. Al riaccendersi della luce, sempre a siparietto abbassato, due personaggi, un uomo e una donna, entrano
circospetti.
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Les premières femmes qui par les Croisés
Furent débarquées en Palestine
C’était nous, nous les dévergondées,
Les premières véritables femmes croisées.
Dans le Nouveau Monde, nous fûmes quarante,
Les premières femmes de la Sainte Espagne :
Nous fûmes débarquées avant les prêtres
Et puis nous fûmes vendues aux caciques.
Nous sommes le phare de la civilisation
Les véritables dames de charité :
Nous vendons l’amour qui n’a pas de prix
Sous la table et à bas prix,
Quand autrefois, un temps déjà passé,
Nous péchions dans des maisons closes,
Notre amour nous était taxé
Et l’État nous en prenait environ un tiers :
Avec ces sous, ils ont calculé,
Ils se sont payé un cuirassé
Un cuirassé et un croiseur
qui encore aujourd’hui vont sur la mer,
le tout payé par notre amour.
trente pour cent de nptre amour
Et puis si tu penses que les marins
En ont dépensé une quinzaine avec nous,
Et que nous, nous l’avons de nouveau rendue
Pour un bon tiers à notre royal État,
Il est clair que nous avons couvert
Toutes les dépenses de l’Amirauté,
Et notre État pour sa frégate
N’aura pas déboursé une lire.
Nous sommes un phare de civilisation,
Les véritables dames de charité :
La patrie devra toujours se souvenir de nous
Et quand passe un croiseur
Pense qu’il est fait de notre amour !
Presque une fois par jour, ah ! ah ! ah ! ah !
On nous fait l’électrochoc, ah ! ah ! ah ! ah !
Parce que nous sommes psychopathes, ah ! ah ! ah ! ah !
Entre autres, nous sommes névrotiques, ah ! ah ! ah ! ah !
Et en tant qu’endocéphaliques, ah ! ah ! ah ! ah !
Nous sommes hors de la société, ah ! ah ! ah ! ah !
Mais aux dernières élections
Les sœurs du couvent
Nous ont fait voter,
Voter avec une petite croix,
En nous tenant par la main,
En nous chantant une histoire,
Et le tout pour la gloire
De cette civilisation, ah ! ah ! ah ! ah !
Et grâce à la méthode connue, ah ! ah ! ah ! ah !
Du conditionnement, ah ! ah ! ah ! ah !
En usage dans le couvent, ah ! ah ! ah ! ah !
Maintenant nous sommes plus normaux, ah ! ah ! ah ! ah !
Nous sommes toujours psychopathes,
Tarés endocéphaliques,
Mais de la pensée courante
Nous connaissons les normes :
Qu’il est sage celui qui désire
Que les choses soient comme elles sont,
Qu’il est fou celui qui se plaint
Du peu qu’il n’a pas.
ah ! ah ! ah ! ah ! ah ! ah ! ah ! ah !
Si tu veux défouler tes nerfs
Raconte des histoires drôles
Sur tel petit ministre,
Sur les prêtres et sur les petites femmes,
Dis même que tout coûte cher,
Qu’il y a trop d’impôts,
Mais reste bien tranquille
Ne pense pas à faire la grève,
parce que si tu veux une augmentation, ah ! ah ! ah ! ah !
Tu fais un péché mortel, ah ! ah ! ah ! ah !
Tu fais pleurer l’État, ah ! ah ! ah ! ah !
Tu boycottes le concordat, ah ! ah ! ah ! ah !
Tu fais pleurer la papauté
Tu fais pleurer ton papa (ton pape), ah ! ah ! ah ! ah !
Tu fais pleurer ton papa (ton pape),
Qui nous fait travailler,
Qui envoie ses sous en Suisse
Et ne paye pas d’impôts,
Qui finance des entreprises à l’étranger,
mais pour notre bien,
et donc il nous convient
de ne pas nous lamenter.
Nous sommes neuropsychopathes, ah ! ah ! ah ! ah !
Nous sommes des tarés psychiques, ah ! ah ! ah ! ah !
C’est pourquoi nous sommes contents, ah ! ah ! ah ! ah !
De ce que nous n’avons pas, ah ! ah ! ah ! ah !
C’est pourquoi nous voulons que, ah ! ah ! ah ! ah !
les choses restent comme elles sont, ah ! ah ! ah ! ah !
ah ! ah ! ah ! ah ! ah ! ah ! ah ! ah !
Nous sommes heureux, contents du cerveau que nous avons
Nous avons une hélice qui nous oblige à suivre le vent.
Si on nous dit : celui-ci vole, celui-là escroque, celui-là trompe,
Nous haussons les épaules et nous sourions comme des idiots.
Parce que nous sommes les Italiotes, race ancienne indo-phénicienne,
Nous sommes heureux, contents du cerveau que nous avons.
Vous aussi vous devriez le faire : trépanez-vous le cerveau
Et mettez-y aussi une hélice, pour suivre toujours le vent.
Trépanons-nous dans la fête, réduisons notre cerveau
Et ainsi ce sera plus beau, nous n’aurons pas à penser.
Si on nous dit : celui-ci vole, celui-là escroque, celui-là trompe,
Nous lui donnerons nos voix, toute notre confiance
Et nous serons tous des Italiotes
Un peu obtus du cerveau.
Allez, dépêchez-vous, soignez-vous, vous aussi, faites comme ça,
Vous aussi, faites comme ça, Vous aussi, faites comme ça.
La nuit est un grand parapluie, tout en trous,
Quelqu’un y a tiré des citrons,
La lune semble le disque du spécial
D’un gros flipper fait pour King-Kong,
Et ma ville aussi est un petit billard,
toi, regarde : chaque fille semble un flipper,
A peine tu touches fort elle fait tilt,
Ah, reste tranquille, ne tremble pas
Ne fais pas tilt
Ne fais pas tilt
Spécial tes yeux sont verts,
Lumière rouge : serre-moi si tu veux.
Ne fais pas tilt
Ne fais pas tilt
C’est la règle de tous les jeux,
C’est une règle que peu de gens connaissent
Ne fais pas tilt
Ne fais pas tilt
Nous sommes une drôle de grande bande
Nous fauchons les chiens et les chats aux gens aisés,
et quand la personne aisée est bien éplorée
Nous la faisons chanter par un pourboire compétent.
Nous fauchons valises et radios dans les parkings
Mais les voitures aussi sont des flippers
Dès que tu y touches fort elles font tilt
Ah, je t’en prie, ne le fais pas
Ne fais pas tilt
Ne fais pas tilt
N’exagère pas avec cette saloperie
Flippe doucement si tu veux l’avoir,
Ne fais pas tilt
Ne fais pas tilt
Pour glorifier Chéops, on a fait une pyramide
Un autel pour Léonidas, un arc pour César,
une stèle monolithique pour Vercingétorix
Pour rappeler un navigateur, on a baptisé Amérique
Ce continent atlantique découvert par Christophe,
Du nom d’un grand médecin on a baptisé un microbe,
Et pour finir, les cliniciens,
Pour passer à la postérité,
A court de pyramides, nous ont baptisé les organes :
Il y a l’os de Bério, la trompe d’Eustache
Il y a le nerf de Bario, le casque de Scipion,
il y a le coche de Dario, chacun a sa stèle
Mais personne ne se souvient de celui qui a pensé à tout.
Qui fut ce grand bureaucrate qui a inventé les formulaires,
Les coupons de passage, le timbre de contrôle,
Qui fut ce grand bureaucrate qui a inventé l’écriture,
Les affaires à régler, la taxe à charge,
La contre signature nulle, la pièce pour la décharge,
La délivrance de mandat, le bon de gratification,
Le protocole unique, le papier de certificat ?
De lui aucune pierre ne rappelle le jour de la naissance
Et peut-être qu’à l’État Civil il est connu comme anonyme, anonyme !
Frères de bureau, levons la tête ,
Du génie des timbres chantons les actions héroïques.
Levons les guichets, louons le seigneur
Qui par amour pour nous a tout créé ici :
Les timbres ronds, le papier timbré,
Les timbres de 10 lires, le papier à en-tête,
l’huissier de la porte, les porte plumes
et la plume, les corbeilles pour le chef de section !
Serre-moi fort les piognets
Contre tes mains,
Et même les yeux fermés
Je verrai tes yeux.
Je t’en prie, prends mon amour,
Je t’en prie, pour un sourire je le cède, je le cède.
Serre-moi fort les poignets
Contre tes mains,
Et même les yeux fermés,
Avec mon cœur je saurai te voir.
La légende de l’huître et de la perle
Le jeune homme de Tunis
Qui, noir comme une huître,
Tomba amoureux d’elle,
Avait des yeux d’onyx,
Le corps d’une statue,
le regard d’une vierge
tant il était timide :
alors il tomba amoureux,
il tomba amoureux d’elle.
Léonore plus que candide,
L’Infante de Castille,
Sa peau de magnolia,
Ses oreilles de coquillage,
Tomba amoureuse de lui,
Tomba amoureuse de lui :
Du jeune homme de Tunis
Qui, plus noir qu’une huître,
Devint blanc en la voyant.
Les bras de cette huître
Se refermèrent sur elle.
Avec des lèvres qui tremblaient,
Léonore plus que candide
Lui donna sa bouche,
Lui donna sa bouche.
Mais depuis le donjon , elle fut aperçue
Par trois de ses frères.
Les flèches firent des éclairs :
Le jeune homme de Tunis
Tomba dans la mer avec elle
Tomba dans la mer avec elle
Il tomba avec elle en la serrant,
Lui noir comme une huître,
s’enfonça avec elle,
avec elle la nacre pâle,
le noir au fond de la mer
se ferma comme une huître,
dans la pâleur de la mort
elle devint une perle.
Les spectateurs applaudissent.
Nous jurons que nous avons vu les plantes de sésame
Qui donnent les diamants,
les îles avec des femmes gigantesques
qui assaillent les jeunes gens pour faire l’amour.
Nous jurons que nous avons tout vu :
Demandez-le nous et nous le racontons,
Mais il est inutile de tenter un chantage,
Il n’y a qu’une fable que nous ne racontons pas :
D’un lieu avec des femmes si peu sérieuses
Qu’elles font l’amour sans te faire jurer
Qu’après tu les épouseras ou que tu les paieras ;
Qui rient nues devant tes yeux,
Te disent : merci, voyons-nous encore,
Et elles rient, elles rient.
Non, ce trésor que nous avons trouvé
Nous le gardons pour nous, il ne doit pas être raconté.
Elles sont belles les femmes si peu sérieuses,
Leur visage ne blanchit que par amour,
Elles n’ont pas un curé qui leur dit : c’est un péché !
Et elles rient, elles rient.
Puisque Dieu savait, avant de le créer,
que pour un seul péché, l’homme se perdrait,
Avec tout ce qu’il pouvait, s’il avait voulu le sauver,
En le créant plus fort, plus saint et avisé
Puisque Dieu savait qu’il se trahirait,
Au point d’être puni, il ne devait pas le créer.
Il ne devait pas nous créer pour être jugés,
Sauvés ou coulés selon nos péchés
Déjà prévus par Lui, déjà dans notre destin.
Puisque Dieu sait, avant de nous faire naître,
Si nous serons saints ou scélérats,
Pourquoi faire jouer à chacun cette comédie,
En disant « fais ce que tu veux », alors que tout est déjà imprimé ?
Serait-ce parce qu’il s’est ennuyé d’être seul dans le ciel ?
S’est-il mis à faire l’auteur pour ne pas mourir d’ennui ?
Pourquoi faire jouer à chacun cette comédie ?
« Malheur à vous, riches bien nourris et repus
Qui par le trou d’une aiguille comme les chameaux
Ne passerez pas, dit le Seigneur,
Jamais vous n’entrerez dans mon royaume ».
Et voilà qu’aussitôt nos tuteurs
Vendent tout, même leur chemise,
pour être pauvres et dignes de Dieu.
Ils ne gardent pas de sous, ils les mettent à la banque,
Ils déguisent en banques même leurs couvents,
Ils achètent, investissent, mais seulement à la baisse,
Sur les intérêts ils ne paient pas d’impôts.
Ils ont inventé les œuvres de piété,
Ils ont un millier de pharmacies,
Ils ont des hôpitaux et des maisons de soin,
Ils ont l’adjudication de l’enterrement.
Ils ne paient pas d’impôt sur les revenus,
Ils ont des visages tristes, mais ils chantent contents :
Laisse donc Dieu dire :
« Vous n’entrerez pas dans mon royaume »,
ferme-la donc, ferme cette porte
de ton royaume, mais qu’est-ce que ça peut nous faire !
De la politique ils sont les maîtres,
En effet ils font semblant d’être maladroits,
S’ils ont pour ami quelque tyran
Tout le monde le sait, mais eux ne le savent pas.
Leur ami tue les gens,
Mais eux, silencieux, ne font semblant de rien :
Pourquoi le frapper d’anathème,
Ou d’excommunication ? Cela ne vaut pas la peine,
L’important est de sauver son fauteuil.
Chantons dans la joie, et gare à celui qui chante faux :
Laisse donc Dieu dire :
« Vous n’entrerez pas dans mon royaume »,
ferme-la donc, ferme cette porte
de ton royaume, mais qu’est-ce que ça peut nous faire !
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